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Immagine del redattoreRaffaella Macuz

LA CHIAMATA DEL VIOLINO

Aggiornamento: 19 gen 2023



È ingegnere progettista, solido, preciso, passata la quarantina, vestito con semplicità, di aspetto piacevole, barbuto, parla con buon ritmo, vocalità espressiva, mi sta dicendo che è in cerca di un arco, un buon arco, ma, ecco, non un arco eccessivamente buono, insomma, ha acquistato da poco un discreto violino, si è iscritto ad una scuola nella sua città, non troppo distante da dove ci troviamo, e ha iniziato a studiare da poco, non sa fare ancora niente, ma si è reso conto che l’arco che usa ora, ecco, non va bene, non è che debba eseguire il capriccio del diavolo, ma non va proprio… ce l’hai un arco non troppo da artista, insomma per me che ho cominciato da poco e che però non sia una pena come quello che ho adesso?

Succedeva un po’ di anni fa, nemmeno molti, cinque, no, sei anni fa, la sua richiesta non mi sorprese troppo, da me vengono musicisti affermati, musicisti completi impegnati nella ricerca di una collocazione soddisfacente, in carriera, insomma, ma anche studenti che devono completare gli studi e giovani studenti, e anche persone che possiamo definire, senza offesa, mature, che a un certo punto, dopo aver dedicato la maggior parte del loro tempo e della loro vita a tutt’altro, smettono di dirsi: “un giorno…”.

Mentre conversiamo, con delicatezza, rispetto e approvazione, riesco a farmi raccontare un pezzetto della sua storia, è un professionista ragionevolmente affermato, famiglia, una figlia, gli piace molto il lavoro che fa e lo fa volentieri da una ventina d’anni, ascolta musica da sempre, a sua memoria, e il violino, beh, il violino ce l’ha in mente da quando era bambino, in casa sua nessuno suonava e il mestiere di musicista non era per niente ben visto, famiglia tradizionale, gente seria e solida, insomma di trovarsi un casa un ragazzino con un violino in mano neanche a parlarne… brava gente, semplice e senza grilli per la testa, gran lavoratori, formichine avvedute e sagge, ordinate e quiete.

E lui fa la sua strada, un discreto liceo, il politecnico, non proprio una passeggiata, i lavori da studente, quelli che hanno fatto tutti per mettersi in tasca due soldi e non pesare troppo sulle casse non proprio floridissime della famiglia, il violino non ci stava, prima lo studio, poi il lavoro, trovato quasi subito, poi la famiglia, sposato pochi anni dopo la laurea, naturalmente la casa, e poi la figlia, e ancora il violino non ci stava proprio…


E poi, poco tempo fa, stava finendo un progetto che lo aveva impegnato molto, una roba complicata, tanto per cambiare, avrebbe consegnato l’indomani, tenendosi il tempo per riguardare tutto diligentemente, un pomeriggio come un altro, come tanti altri passati quieti per anni, ecco, stava riascoltando un pezzo di Mozart, molto amato, e non c’è stato niente da fare, non c’è stato più niente da fare.

Era passato davanti alla bottega di un discreto liutaio per anni, fermandosi a volte a guardare i legni, i pezzi esposti, vetrina polverosa, beh, lavorando il legno pare difficile non far polvere, non proprio ordinata, a volte era un violino, a volte una viola, e l’altro giorno aveva visto un bel violino, eh sì, era proprio bello, era rimasto almeno cinque minuti a guardarlo, e poi aveva ripreso a camminare, la strada che faceva da anni, una vecchia viuzza stretta nella parte vecchia della città, con i marciapiedi sghembi, il selciato in sassi arrotondati, la luce che scende poco tra le case disposte ai due lati, un muro continuo in cui si aprono porte, finestre, e botteghe… è la sua città, quella dove è nato, non ha dovuto andare in giro per il mondo come tanti suoi colleghi, la conosce bene, e fa quella strada non perché sia la più breve, ma perché gli piace passare attraverso questo pezzo di città, proprio quella strada.

Non c’è stato più niente fare, doveva muoversi, e muoversi subito, il suo violino, gli stavano portando via il suo violino mentre lui era lì a gingillarsi con le ultime specifiche delle resistenze del circuito, e così dovette uscire, appena il tempo di indossare il cappotto, e camminare velocemente, sperando che il liutaio ci fosse, quella è gente strana, un po’ c’è, poi trovi la bottega chiusa, senza motivo, passo veloce, i chili in più si fanno sentire, il respiro accelera, è pieno inverno ma non sente freddo, ecco la bottega, c’è luce, forse è dentro, il violino, il mio violino è lì.


Me lo mostra, è di buona fattura, provo qualche nota con uno dei miei archi, sì, non è affatto male, è stato un buon acquisto, Gabriel mi guarda aspettando il responso, ma lo sa già, quello che io sento lo sente anche lui, i nostri buoni vecchi neuroni specchio, fulminei, poi ci vuole tempo per pensare quel che abbiamo sentito, il pensiero è più lento… penso a che cosa dargli, penso che è ragionevole che lui dica di volere un arco da studio, che proverò ad accontentarlo, ma che non sarà contento con un arco da studio.

Gli restituisco il violino, gli porgo l’arco con cui ho appena provato, gli dico di provarlo mentre cerco quello che mi ha chiesto, sì, c’è un arco discreto che ho finito di restaurare poco tempo fa, è un arco discreto che mi ha lasciato un ottimo studente del settimo anno quando ha preso un mio arco, si presenta bene, decoroso, lo tendo e glielo porgo, Gabriel lo prova, sembra soddisfatto.

Nemmeno uno sguardo al mio arco, nessun cenno, dentro di me sorrido, sento la battaglia che sta combattendo, silenziosa e feroce, resto quieta, mentre Gabriel mi dice che è proprio quello che stava cercando, allento il bottone, metto l’arco nella sua custodia, chiacchieriamo ancora un poco, e poi Gabriel se ne va.

Dopo qualche settimana torna, e mi chiede, con uno sguardo un po’ complice, tu lo sapevi, vero? Io faccio finta di non capire, sapevo che cosa? E lui, ridendo, trasmettendomi una sensazione di libertà, di una liberazione finalmente conquistata, eh lo sai, lo sapevi che questo arco non è male, ma che non lo avrei tenuto, mi posso permettere un arco migliore, anche se sono solo all’inizio dello studio, anche se mia figlia, il sergente maggiore, mi permette di suonare solo in certe ore e nella stanza più lontana, anche se uso anche un violino elettrico, però per il mio violino, per poco o nulla che io sappia fare, io voglio quell’arco, ce l’hai ancora?

In quelle settimane era passata un po’ di gente, anche per gli archi ci sono le stagioni, ma ero sicura che per pura combinazione nessuno aveva preso l’arco di Gabriel, e infatti ci metto un minuto per trovarlo, è un ottimo arco, ricordo e rivivo in pochi istanti tutto quello che ho fatto per metterlo al mondo, partendo da una bacchetta grezza di un magnifico pernambuco, eccellente trasmissione del suono… troppo per un principiante?


Chi suona sa, conosce la differenza tra studiare con uno strumento di buona qualità e studiare con uno strumento scadente, la voglia di suonare compensa il dispiacere di trovarsi tra le mani un cattivo strumento, ma non è vero che si studia e si apprende allo stesso modo, che il risultato che si ottiene alla fine è lo stesso, e, soprattutto, che la qualità del tempo passato a studiare e apprendere sia lo stesso, sono bugie pietose, restano bugie.

Chi suona sa, anche se a volte non sa di saperlo, o se non usa queste parole per descriverlo, che suonare non è affatto una magia, non è affatto una distrazione dalla vita, non sono atti effimeri di pochi privilegiati, modo leggero di passare il tempo invece di occuparsi di cose veramente importanti, suonare uno strumento, qualunque strumento, quel generare suoni che è generare musica è un atto vitale indispensabile, tanto importante e necessario e indispensabile per la mente di chi suona quanto lo è procurarsi cibo non contaminato e riparo.

E anche Gabriel che ha iniziato a generare musica da poco, anche Gabriel che vede vicini i suoi dieci lustri, anche Gabriel ha bisogno di allineare i mondi nella sua mente con il mondo reale, di trovare e ritrovare le meravigliose connessioni tra tutto ciò che accade nel mondo interno e nel mondo esterno, tra ciò che è prima e ciò che è dopo, tra ciò che è simultaneo e ciò che si alterna, tra ciò che è vicino e ciò che è distante, tra ciò che è alto e ciò che è basso, tra ciò che placa e ciò che irrita, tra ciò che è staccato e ciò che è legato, sono le connessioni che ci permettono di avere a che fare con il mondo reale, di renderlo buono per noi, le stesse connessioni che gli permettono di progettare e poi costruire un circuito stampato su cui vengono montati aggeggi diabolici che poi usiamo per far funzionare le cose che usiamo ogni giorno.

Allineare i nostri mondi, cercare e trovare le prove che funzioniamo bene, o almeno abbastanza bene, è ciò che facciamo in ogni istante della nostra vita, mentre facciamo ciò che facciamo, qualunque cosa stiamo facendo, anche quando sembra che non facciamo assolutamente nulla: non è una scelta, non lo decidiamo noi, non possiamo non farlo, siamo costruiti così… con gli occhi possiamo solo vedere alcuni effetti di questo incessante e meravigliosamente complesso lavoro, non ci è dato sapere esattamente perché, come mai, proprio quel pomeriggio, all’imbrunire, proprio in quel momento, non prima e non dopo, Gabriel si sia precipitato a prendere quello che era il suo violino, proprio quel violino e non un altro, proprio da quel liutaio e non da un altro.

Che cosa trasformi quel “un giorno…” in un “adesso”, che cosa occorra, per citare un vecchio film, novecento, perché ad un certo momento, né prima, né dopo, il quadro appeso da anni cada e si frantumi a terra, non saprei proprio dire: nella mia storia molti sono stati quelli che sono venuti da me, avanti negli anni, con quel pensiero, da tempo, da tanto tempo si stavano dicendo “un giorno mi metterò a studiare e suonare il violino”, e poi, senza preavviso, quel “un giorno…” è diventato “adesso”.

Molti sono stati quelli che si sono dedicati allo studio, all’esercizio, con apprezzabile regolarità, cambiando i loro tempi quotidiani, facendo posto e riservando tempo ad apprendere, ad esercitarsi, spesso suscitando l’opposizione di chi gli era da tempo vicino, come la figlia sergente maggiore di Gabriel, senza alcuna pretesa di avvicinarsi alla maestria di un Krylov, di un Yo Yo Ma, ma senza mollare.

Ora mi dico che per tutti noi, generatori di musica, il tempo del generare musica arriva quando arriva, io ho iniziato a cinque anni, non a cinquanta, ed arriva quando ci serve qualcosa che ci aiuti ad allineare i nostri mondi nel modo che solo il generare musica può fare, e questo è ciò di cui abbiamo bisogno, è questo ancestrale bisogno che deve trovare soddisfazione, in questo modo troviamo ciò di cui abbiamo bisogno.

E così, tra Gabriel e Krylov non c’è reale differenza, entrambi fanno la stessa cosa, Gabriel e Krylov hanno entrambi bisogno di usare buoni strumenti, visto il lavoro a cui si dedicano quando generano musica, sapendo che la musica che viene generata è “solo” un effetto collaterale, è bellezza collaterale.

Per noi che ascoltiamo, che usiamo la musica generata da altri, che fruiamo dell’effetto collaterale e della bellezza collaterale per i nostri scopi, è tutto un altro paio di maniche, andiamo volentieri a sentire Krylov, non ci viene in mente di andare a sentire Gabriel… ma, appunto, è una storia totalmente diversa.



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