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Immagine del redattoreRaffaella Macuz

LO SAPEVO

Aggiornamento: 19 gen 2023

Mi ha detto di seguirlo in laboratorio, l'arco di mia figlia non era ancora pronto, mancavano gli ultimi ritocchi, io l'ho seguito, si è seduto al banco, ha acceso la fiamma e ha cominciato a lavorare il crine con gesti lenti, decisi e sapienti, controllando uno per uno che tutti i fili andassero al loro posto, perfettamente allineati.

Questo è un posto magico, così ho sentito e pensato.



Il silenzio era perfetto, mi vedevo seduta al banco, alle prese con quella cosa perfetta, quella che dà la voce agli strumenti, e con questo la vita ad un concerto di Bach, Mozart, Brahms, Dvorak, Beethoven, Tchaikovsky.. .proprio tutti loro, e tanti altri, tutti i miei maestri, studiati e amati da quando ne ho memoria.

L'arco era pronto.

Non me ne sono andato, abbiamo iniziato a parlare, gli ho raccontato dell'incanto che mi aveva letteralmente rapito nel vederlo muoversi intorno alla fiamma, quei gesti, quella attenzione, quella concentrazione, quella precisione meravigliosa, e poi era lui a raccontarmi. ..

Non mi aspettavo niente del genere, ero andato dal maestro Lucchi a sistemare l'archetto di mia figlia, la piccola, allora giovane talento, ero arrivato da poco a Cremona, avevo chiesto in giro, e Lucchi sembrava una giusta scelta, anche se scomoda da raggiungere, avevo in mente le mie solite cose, le mie solite domande, casa, lavoro, ragazze, il Conservatorio... Non sono mai uscita da quel laboratorio davvero.

Abbiamo parlato tanto, Lucchi era così, romagnolo, burlone, oltre che rigoroso ed esigente, si parlava di tutto, di musica, di musicisti, delle nostre vite, non potevo andarmene, non ci pensavo proprio, e mi sembrava che anche il Maestro non volesse proprio fermarsi.

Passarono le ore, belle, le ho tutte qui, con me... a malincuore siamo stati costretti a congedarci, era sera, era buio, era tardi, dovevamo tornare dalle famiglie... l'archetto di mia figlia era, vabbè, non proprio il massimo, e Lucchi mi porse uno dei suoi archi dicendomi di provarlo, sapevo che non me lo sarei mai potuto permettere, ha insistito e lo presi.



Sono tornata un paio di giorni dopo, per restituirlo, era magnifico, come poteva essere altrimenti, ma non potevo tenerlo, mi ha aperto di persona, e mi ha detto di seguirlo, con l'aria di chi sa il fatto suo, in una grande stanza c'erano tutti i suoi collaboratori, la sua équipe, e sul tavolo un aspirapolvere smontato.

Non erano riusciti a rimontarlo, e così mi ha sfidato, se puoi rimontarlo, sei dentro, uno dei nostri... tra le tante cose di cui avevamo parlato c'era anche, semiseria, l'idea di lavorare stabilmente con lui, secondo lui l'Atelier doveva essere riorganizzato, e organizzare era, ed è, una delle cose che so fare bene.



Allora mi sono messa al lavoro, ho guardato i pezzi, è meccanico, per me è casa, mio ​​padre per molto tempo è stato nella meccanica di precisione, la domenica andavo con lui in officina, i pezzi, le macchine, gli odori di la meccanica è bellissima... e poi ho rimontato l'aspirapolvere, sotto gli occhi di tutti, tutti maschi, con le braccia incrociate, con la faccia di chi dice seeee, ci fa vedere lei, la meccanica donna... pochi minuti, ecco, gli ho detto, ed è scoppiato in un Socc sincero [1] !

Significava anche che potevo iniziare, sapevo che avrei dovuto lasciare il lavoro che facevo, ci è voluto un mese, ho sfruttato tutte le possibilità per andare da lui, anche solo per un'ora, ci andavo quasi tutti i giorni , finché sono rimasta.

Rimasi nove anni con il maestro Lucchi, finché se ne andò... la verità è che per me non è partito, è ancora con me, è nei miei gesti, che erano suoi, proprio suoi, lenti, decisi e sappi che è nel filo di cotone che continuo ad appendere esattamente dove lo teneva appeso, nei coltelli, nelle pialle che ho pazientemente imparato ad usare, ottenendo il suo [1] Socc!, cioè la piena approvazione.

[1] Espressione in dialetto bolognese.



Da più di dieci anni ho il mio Atelier, è stato difficile per me continuare senza di lui, molto difficile all'inizio, c'erano momenti in cui dubitavo di voler continuare, e sono stati brutti momenti... la musica mi ha aiutato a tanto, per me suonare è il modo migliore per rimettere in ordine il mondo quando tutto si rompe, è la panchina, soprattutto, la sua magia mai finita, mai scomparsa, è la mia casa sicura.

E i musicisti, giovani e meno giovani, Maestri e studenti, professionisti e hobbisti, solisti e musicisti d'orchestra, tanti, mi hanno aiutato a ritrovare e riscoprire ogni volta la bellezza, la meraviglia, l'incanto, tanti che ho servito e a cui dedico tutto il mio impegno, onorando la loro arte, il loro impegno.

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